Pratiche commerciali sleali ex D.Lgs. 198/2021 e termini di pagamento: uno spettro si aggira tra le norme!

Pratiche commerciali sleali ex D.Lgs. 198/2021 e termini di pagamento: uno spettro si aggira tra le norme!

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Da quando è entrato in vigore, nel dicembre del 2021, le prime esperienze applicative del D.Lgs. 198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti B2B nella filiera agroalimentare (“Decreto UTP”) dimostrano come il principale terreno di scontro interpretativo tra fornitori e acquirenti (soprattutto quelli della grande distribuzione) sia rappresentato dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b) del Decreto UTP.

Il casus belli interpretativo nasce dal combinato disposto di tre fattori: i) una norma di non immediata intellegibilità (che però – anticipo sin da subito – è alla fine molto chiara nel suo intento); ii) la definizione di “contratto di cessione con consegna pattuita su base periodica” contenuta nel Decreto UTP che si presta a qualche equivoco e iii) l’interesse dei distributori di ripristinare a tutti i costi qualcosa che nel Decreto UTP non c’è, ossia il pagamento “a fine mese”, invece presente nel suo progenitore, l’art. 62 del D.L. 1/2012.

Ma in cosa consiste esattamente la questione? Essa deriva dal fatto che l’art. 4.1.a) del Decreto UTP ha individuato una specifica tipologia di contratti di cessione di prodotti agroalimentari, quella con “consegna pattuita su base periodica”, per stabilire che per questa tipologia di contratti il termine massimo di pagamento (di 30 o 60 giorni a seconda che il bene sia deperibile o meno) può decorrere dalla “fine del periodo di consegna convenuto che in ogni caso non può essere superiore a un mese”, oppure dalla richiesta di pagamento per “il periodo di consegna in questione” (in pratica dalla fattura) a seconda di quale dei due scada per ultimo.

Che cosa significa consegna pattuita su base periodica? Un rebus normativo che però è tale solo in apparenza. La fattispecie a cui questa disposizione si riferisce è invece a mio parere molto evidente, almeno per un giurista. Si tratta di nient’altro che del cosiddetto contratto di vendita a consegne ripartite.

La tipologia di contratto a consegne ripartite non è codificata nel nostro codice civile, ma la sua definizione è consolidata nella giurisprudenza. Per fare qualche esempio, di recente la Corte di Cassazione, nel delineare la differenza tra somministrazione e vendita a consegne ripartite, ha statuito che “la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla UNICITÀ DELLA PRESTAZIONE, rispetto alla quale la RIPARTIZIONE delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto” (Cassazione 11/11/2021, n.33559).

Dunque un’unica prestazione (nella specie la cessione di un quantitativo X di merce) da eseguirsi mediante consegna non in un’unica ma in più soluzioni. Ciò, si badi, in funzione di un accordo espresso a monte tra le parti che programmi ex ante il piano delle consegne scaglionate nel tempo. Perché se tale accordo non ci fosse, il venditore si troverebbe in una situazione di inesatto adempimento.

Quel che qualifica la fattispecie, in sostanza, è UN ACCORDO sul differimento della consegna in più soluzioni. Ancora più chiaro in tal senso il Tribunale di Siena che, sempre lo scorso anno ha sottolineato come nella vendita con consegne ripartite “si è in presenza di UN’UNICA PRESTAZIONE predeterminata di cose, ma DIVISIBILE, la cui CONSEGNA È DA EFFETTUARSI A PIÙ RIPRESE per agevolare l’esecuzione o il ricevimento della prestazione stessa” (Tribunale Siena n. 494 del 18/06/2021).

Gli esempi potrebbero continuare, ma credo basti. Ribadisco che l’ipotesi che ha in mente l’art. 4.1.a) del Decreto UTP riferendosi al caso delle “consegne su base periodica” altro non è che quella di cui ci parla la giurisprudenza riferendosi alle consegne ripartite e che presuppone che a fronte di una partita unica di merce ordinata, le parti ne concordino la consegna “a più riprese”, ovvero “scaglionata” e non in un’unica soluzione. Si tratta a ben guardare di una fattispecie che lo stesso D.Lgs. 198/2021 ha codificato in un’altra sua disposizione, quella dell’art. 5, comma 1, lett. k), in cui si prevede che la fattura possa essere emessa solo alla fine del mese nel caso di “consegna dei prodotti in più quote nello stesso mese”.

A fronte di questo, a mio parere chiarissimo, contesto interpretativo, la grande distribuzione sembra abbia preso invece la strada di ritenere che tutti i contratti quadro annuali, sottoscritti con i fornitori, diano sempre luogo a contratti di cessione con consegna pattuita su base periodica. Non solo. Gli stessi distributori ritengono che “il periodo convenuto di consegna” coincida sempre con il mese solare. Questo pur in assenza di qualsiasi appiglio nel Decreto UTP e prima di esso nella Direttiva UE 633/2019 a cui il Decreto dà attuazione. A dire il vero, un appiglio il Decreto UTP sembra fornirlo. Infatti, senza che ce ne fosse la necessità, il Decreto all’art. 2, comma 1, lett. f) definisce il concetto di “contratto di cessione con consegna pattuita su base periodica” come “un accordo quadro…ovvero un contratto di fornitura con prestazioni periodiche o continuative”.

Non v’è però chi non veda come la definizione in questione sia nella migliore delle ipotesi tautologica: infatti, se, come stabilisce lo stesso Decreto UTP all’art. 2, comma 1, lett. a), l’accordo quadro altro non è che “l’accordo base” a carattere normativo generale, ossia avente ad oggetto “la disciplina dei conseguenti contratti di cessione… tra cui le condizioni di compravendita”, se è così, allora il massimo che si può desumere dalla definizione di cui alla lettera f) non è che, come vorrebbe la Grande Distribuzione, ogni accordo quadro sia sempre a consegne su base periodica, ma che lo possono essere i “conseguenti contratti di cessione” (per usare l’espressione della legge), ma questo se e solo se le parti abbiano concordato che così siano, prevedendo consegne su base ripartita ovvero scaglionate.

D’altro canto, tornando alla disposizione dell’art. 4, comma 1, lett. a) e b), la lettera di quelle disposizioni usano un’espressione che non si presta ad equivoci. In entrambe il riferimento qualificante è al “periodo di consegna convenuto”! Come dicono i giuristi, nelle cose chiare non c’è bisogno di interpretazione e quindi il periodo deve essere per l’appunto convenuto (ossia concordato) tra le parti. Tale accordo non può che essere definito nei singoli contratti di cessione che sono disciplinati dagli accordi quadro, non invece nell’accordo quadro con cui di per sé non si compra e non si vende nulla. Se non c’è un tale accordo per suddividere la consegna in più soluzioni, ma questa si riduce ad un’unica consegna, come si può parlare di ”periodo di consegna convenuto”?

E veniamo in chiusura alla ragione della forzatura interpretativa propugnata da alcuni acquirenti. Questa è presto detta: si tratta della volontà di ripristinare in qualche modo e quale che sia il concreto dispiegarsi del rapporto tra le parti il pagamento a fine mese, previsto sì dall’art. 62 ma non più dal D.Lgs. 198/2021. Per quest’ultimo, i giorni di pagamento sono sempre effettivi e mai prolungati fino all’ultimo giorno del mese (secondo le famose formule 30 o 60 giorni fine mese).

Il fine mese è un mezzo per guadagnare giorni di liquidità, ma che oggi, se applicato indiscriminatamente, esporrebbe a mio avviso gli acquirenti alle pesanti sanzioni del D.Lgs. 198/2021 (ossia fino al 3,5% del fatturato).
Ciò a tacere del fatto che comunque, a ben vedere, rispetto al precedente regime, il Decreto UTP ha drasticamente escluso dal novero del prodotti deperibili quelli con termine di conservazione a 60 giorni che, invece, nel regime dell’art. 62, era considerati deperibili e, quindi, beneficiari di un termine di pagamento dimezzato rispetto ai non deperibili.
Questo guadagno di liquidità assicurato dal D.Lgs. 198 agli acquirenti sembra sia però passato inosservato.