La legge di attuazione in Italia della Direttiva UE 633/2019 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare

Il 15 dicembre 2021 è entrato in vigore il D.Lgs. 198/2021 di attuazione della Direttiva UE 633/2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare.
Il presente articolo si propone di fare il punto della riforma che nasce dalla necessità di dare attuazione all’intervento del legislatore comunitario, passandone al vaglio le principali novità rispetto al noto precedente dell’articolo. 62 del d.l. 1/2012. Il D.lgs ha sì ripreso alcune delle linee generali della Direttiva (come la suddivisione in pratiche commerciali cosiddette “black-list”, sempre vietate, e quelle cosiddette “grey-list”, vietate solo quando non vi sia a monte un accordo tra acquirente e fornitore; e l’adozione di un apparato sanzionatorio efficace e dissuasivo) ma ha altresì innovato rispetto alla Direttiva.
Di rilievo a riguardo è l’eliminazione, rispetto alla Direttiva, di ogni tipo di soglia di fatturato come requisito soggettivo di accesso alla tutela; l’ampliamento del novero delle pratiche scorrette; e l’introduzione non solo di pratiche scorrette ma anche di principi generali positivi (come quelli di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività). Una novità di assoluto rilievo introdotta dal D.lgs. 198 rispetto alla precedente disciplina che verrà analizzata è rappresentata dall’eliminazione del riferimento al “significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale” caposaldo del regime previsto dal superato articolo 62. Ad affiancare l’eliminazione di questo requisito è stata poi attribuita competenza sanzionatoria in materia all’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e la Repressione delle Frodi (ICQRF) presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali in luogo dell’AGCM.
Nel documento allegato si offre, infine, una tavola sinottica che sintetizza quali sono le pratiche vietate, se esse siano classificabili come black o grey-list, chi siano i soggetti passivi dei relativi divieti e le sanzioni amministrative applicabili.
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Il 15 dicembre 2021 è entrato in vigore il D.Lgs. 198/2021 di attuazione della Direttiva UE 633/2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare.
L’Italia, con l’art. 62 del d.l. 1/2012, convertito nella legge 27/2012, dieci anni fa è stata tra i primi stati dell’UE ad adottare una disciplina delle relazioni commerciali nel settore agroalimentare, con l’intento di prevenire gli abusi di forza contrattuale e, in particolare, di buyer power commessi da una parte ai danni dell’altra. La Direttiva UE del 2019, a cui il D.Lgs. 198 dà attuazione, è quindi intervenuta sette anni dopo rispetto all’Italia per dare una risposta armonizzata a livello UE ad un’esigenza da tempo avvertita dal settore agroalimentare, ossia quella di ricondurre a canoni di equilibrio e correttezza rapporti negoziali che l’esperienza ha dimostrato essere stati spesso improntati ad una dialettica conflittuale, in cui le prestazioni contrattuali non sono concordate nell’ottica di una effettiva reciprocità, ma imposte mediante mezzi non leali, come ad esempio l’uso di minacce di ritorsione commerciale a carico della parte che non accetti determinate richieste. Un esempio classico molto noto nel campo della grande distribuzione organizzata (GDO) è la cosiddetta “minaccia di delisting” ventilata dagli acquirenti nei confronti dei fornitori: questa minaccia prospetta la immediata interruzione degli acquisti, con contestuale eliminazione dal listino dei prodotti trattati dal distributore (da cui “delisting”), come mezzo per forzare il fornitore ad acconsentire a determinate concessioni commerciali (come ad es. sconti aggiuntivi). L’efficacia della minaccia di delisting è evidente, ove si consideri che per quasi tutti i forniti, la scomparsa, anche temporanea, dagli scaffali di un supermercato può essere fonte di perdite non solo di ricavi ingenti, ma anche di quote di mercato difficili da recuperare successivamente, se non mediante ulteriori investimenti promozionali presso lo stesso punto vendita da cui erano stati delistati.
Sempre i dati di esperienza avevano d’altronde convinto le istituzioni dell’UE che nella gran parte dei casi il soggetto della relazione commerciale vittima dell’abuso di forza negoziale sia il fornitore dei prodotti ad opera dell’acquirente.
In questa prospettiva, la Direttiva 633/2019 è stata quindi strutturata lungo tre scelte di regolamentazione principali:
- porsi come normativa a tutela esclusiva dei fornitori di prodotti agroalimentari nei confronti degli acquirenti, disegnando tuttavia un sistema che si potrebbe definire a coppie di fatturato, in virtù del quale la tutela è riconosciuta solo ai fornitori che non superino una determinata soglia di fatturato, nei confronti dei soli acquirenti che a loro volta abbiano realizzato un determinato fatturato minimo. La conseguenza di tale scelta è che nessun fornitore in base alla Direttiva sarebbe tutelato nei confronti di nessun acquirente se realizzi un fatturato annuo superiore ai 350 milioni di euro di fatturato;
- suddividere le pratiche sleali nelle due macrocategorie delle pratiche commerciali cosiddette “black-list”, sempre vietate, e quelle cosiddette “grey-list”, vietate solo quando non vi sia a monte un accordo tra acquirente e fornitore. Entrambe queste categorie sono individuate dalla Direttiva secondo un elenco tassativo di pratiche; e
- assicurare un apparato sanzionatorio efficacia e dissuasivo, con contestuale tutela dell’anonimato del fornitore denunciate che non voglia rivelare la propria identità al cliente denunciato nel timore di subire ritorsioni dal cliente denunciato (cosiddetto “fattore paura” riconosciuto dalle istituzione europee come ragione del freno alle denunce da parte dei soggetti colpiti dalle pratiche sleali).
Il D.lgs. 198 dal canto suo, nel trasporre i richiamati indirizzi della Direttiva, ha assunto un approccio parzialmente innovativo, ispirato anche all’esigenza di fondere i principi e i precetti dell’art. 62 con quelli della Direttiva, oltre che a quello di superare alcune deficienze e rigidità di impianto della Direttiva stessa. In particolare, il D.lgs 198:
- ha eliminato qualsiasi soglia di fatturato come requisito soggettivo di accesso alla tutela. Esso ha al contempo assunto un impianto che, pur rimanendo ispirato alla tutela primaria dei fornitori nei confronti degli acquirenti, ha comunque mantenuto, in linea con l’art. 62, un carattere di reciprocità, che vede quindi anche i fornitori come soggetti tenuti al rispetto della disciplina, con riguardo a determinate pratiche scorrette e ai principi generali cui si deve ispirare la relazione commerciale;
- ha ampliato il novero delle pratiche scorrette affiancando, all’elenco black-list e grey list della Direttiva, cui è dedicato l’art. 4, una terzo elenco di pratiche scorrette non espressamente qualificate come black o grey-list, enumerate all’art. 5. Quest’ultime da un lato riprendono in buona parte quelle dell’art. 62 e la formulazione aperta delle fattispecie di illecito proprie dell’art. 62, dall’altro lato ne aggiungono di nuove, tra cui alcune che specificamente pongono obblighi comportamentali esclusivamente a carico dei fornitori (si tratta delle pratiche di cui all’art. 5, comma 1, lettere m-p);
- introduce in positivo all’art. 3 i principi generali di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni a cui le relazioni commerciali devono ispirarsi in ogni loro fase (pre e post contrattuale), oltre ai criteri generali che, sempre in positivo, consentono di considerare un contratto conforme alle buone prassi commerciali (art. 6). Tra questi principi, di particolare rilievo in prospettiva di futura applicazione della legge appare quello che richiede l’assunzione dei propri rischi imprenditoriali ad opera di tutte le parti della filiera. Questa previsione di principi in positivo è a mio avviso di particolare importanza perché offre un parametro normativo alla luce del quale valutare l’effettiva idoneità degli accordi tra le parti di rendere lecite le pratiche “grey-list” di cui all’elenco dell’art. 4, comma 4, altrimenti vietate o comunque quelle di cui all’art. 5 che sono ritenute salve in presenza di un accordo. In altri termini, ritengo che affinché un accordo possa ritenersi tale da consentire le pratiche grey-list non basti provare che un accordo purchessia sia intervenuto, ma sarà anche necessario – ove si sollevino obiezioni a riguardo – che l’accordo sia conforme ai principi di cui all’art. 3, nonché a quelli di cui all’art. 6.
Una novità di assoluto rilievo introdotta dal D.lgs. 198 rispetto alla precedente disciplina che merita qui di essere menzionata è rappresentata dall’eliminazione del riferimento al “significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale” che, nel regime dell’art. 62, era stato introdotto da una normativa di secondo livello, il decreto ministeriale n. 199/2012 di attuazione dell’art. 62, come elemento soggettivo determinante per sancire la slealtà della condotta tenuta da una parte nei confronti dell’altra. Anche in ragione di questa qualificazione, a mio avviso impropria, della soggettività dell’autore della condotta sleale, in quasi dieci anni di vigenza l’art. 62 ha visto la conclusione di pochissime e tutto sommato irrilevanti istruttorie da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), all’epoca competente. L’eliminazione di questo requisito oggi, affiancato dall’attribuzione della competenza sanzionatoria all’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e la Repressione delle Frodi (ICQRF) presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali in luogo dell’AGCM, dovrebbe, almeno in quelle che sembrano essere le intenzioni del legislatore, portare ad un’applicazione focalizzata sull’oggettività della pratica, piuttosto che sulla soggettività di chi la ponga in essere, in ossequio al principio per cui una pratica o è sleale o non lo è, indipendentemente dalla posizione negoziale di chi la ponga in essere. Non foss’altro perché il fatto stesso che una parte sia stata in grado di porre in essere una pratica sleale è indice esso stesso dello sbilanciamento nel potere negoziale di una parte nei confronti dell’altra.
Nel documento allegato si offre una tavola sinottica che sintetizza quali sono le pratiche vietate, se esse siano classificabili come black o grey-list, chi siano i soggetti passivi dei relativi divieti e le sanzioni amministrative applicabili. Occorre sottolineare come nella tavola sinottica allegata si sia tentato di ricondurre alla categoria di black o grey-list anche quelle pratiche, di cui all’art. 5, non previste dalla Direttiva e che sono di derivazione dall’art. 62 e/o che sono state introdotte ex novo rispetto alla Direttiva stesso. Ritengo infatti che anche per queste si possa interpretativamente concludere se esse pongano un divieto assoluto (blac-list) o se invece possano essere consentite in virtù di un accordo tra le parti (grey-list), anche solo in virtù della specifica formulazione letterale adottata dal legislatore.
Ad ogni modo, tutta la legge sarà soggetta com’è normale a una necessaria continua opera di affinamento e chiarimento interpretativo, mano a mano che se ne testerà l’applicazione sul campo e quindi anche gli spunti interpretativi qui proposti potranno essere soggetti a conferme o smentite col tempo.