AI Pills – intelligenza artificiale e brevetti

La brevettabilità dell’A.I. e il potenziale ruolo delle macchine nella paternità delle invenzioni sono due dei temi principali quando si parla di intelligenza artificiale e brevetti.

 

«Appena funziona, nessuno la chiama più A.I.»

È con questa frase di John McCarthy – il primo, nel 1955, a coniare l’espressione intelligenza artificiale – che meglio si riesce a trasmettere l’idea di progresso intrinsecamente sottesa al concetto di A.I.

In effetti, fin dalla sua prima applicazione, l’intelligenza artificiale è stata uno dei simboli della modernizzazione e, come tale, si è più volte dovuta confrontare con la materia brevettuale: un altro campo in cui l’innovazione connessa all’A.I. pone le sue principali questioni, alcune delle quali ancora lontane dall’essere risolte.

La brevettabilità dell’A.I. e il potenziale ruolo delle macchine nella paternità delle invenzioni sono due dei temi principali quando si parla di A.I. e brevetti.

Brevettabilità dell’Intelligenza artificiale

In Italia, così come nel resto dell’Unione Europea, i programmi per elaboratore – cc.dd. software – non sono considerati invenzioni brevettabili. Infatti, nel nostro sistema di proprietà intellettuale, il codice sorgente e il codice oggetto originali sono tutelati dalle norme in materia di diritto d’autore, esattamente come se si trattasse di opere d’arte, laddove i brevetti offrono protezione giuridica al risultato dell’innovazione tecnica espressa da invenzioni di prodotto o di procedimento. Un simile approccio può semrbare un ostacolo alla protezione brevettuale per l’A.I., che – per sua natura – è costituita da niente più che semplici linee di codice.

Tuttavia, quando un prodotto nuovo è il risultato di un processo inventivo che comprende l’utilizzo di un software (ivi inclusa l’intelligenza artificiale) su un computer, tali prodotti o processi possono essere brevettati come “invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici” o, più comunemente, “computer implemented inventions”. Le computer implemented inventions coprono le rivendicazioni che prevedono l’utilizzo di  computer, reti di computer o altri apparati programmabili, in cui almeno una caratteristica è realizzata per mezzo di un programma (Guidelines for Examination dell’EPO, F-IV, 3.9).

In Europa c’è un approccio rigoroso alla brevettazione del software, coerente con la Convenzione sul brevetto europeo, incentrato sulla discussione del carattere tecnico delle rivendicazioni e basato su una pratica consolidata per le computer implemented inventions.

In altre parole, sebbene in astratto gli algoritmi di apprendimento automatico, in quanto tali, non siano brevettabili, la tutela brevettuale può essere concessa per tutte le applicazioni che risolvono un problema tecnico quando siano adattate per una specifica implementazione tecnica.

 

E se la macchina diventa inventore?

Mentre non sembrano esistere più particolari problemi né discussioni sulla brevettabilità delle invenzioni in cui i programmi per computer, comprese le A.I., danno il proprio contributo tecnico (purché – si è detto – si qualifichino come invenzioni attuate per mezzo di computer), oggetto di crescente dibattito è il ruolo che l’intelligenza artificiale può ricoprire nell’attività inventiva.

In effetti, quando si parla di attività inventiva, l’A.I. potrebbe (i) servire al solo scopo di verificare il risultato e gli effetti di un’invenzione creata da una mente umana; (ii) essere utilizzata per individuare una soluzione ad un problema tecnico identificato da un inventore umano; (iii) identificare autonomamente un problema tecnico e una soluzione originale.

Naturalmente, i primi due scenari pongono meno questioni, poiché in tali ipotesi l’A.I. costituisce un semplice strumento in grado di aumentare il potenziale inventivo degli esseri umani. Ma cosa succede quando l’intelligenza artificiale cessa di essere un mero strumento e diventa essa stessa autrice del passo inventivo necessario per individuare una soluzione originale ad un problema tecnico?

Posta diversamente, occorre domandarci se una macchina che impiega un software di A.I. possa essere considerata l’autore di un’invenzione.

 

DABUS: l’unico precedente.

I principali uffici brevetti della società occidentale (USPTO, EPO e UKIPO) hanno avuto la possibilità di confrontarsi con la questione e prendere una posizione quando, tra il 2018 e il 2019, Stephen Thaler ha presentato domanda di brevetto per due distinte invenzioni (un contenitore per bevande e un dispositivo di ricerca e soccorso), asseritamente create da un “Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience” o “DABUS”, un sistema di reti neurali a sua volta creato dallo stesso Thaler.

Il richiedente ha fermamente sostenuto che, pur essendo legittimato alla presentazione delle domande di brevetto in qualità di successore dell'”inventore”, nessuna persona fisica – nemmeno lo stesso Thaler, in qualità di creatore di DABUS – poteva rivendicare la paternità delle due invenzioni, poiché DABUS era l’unica entità responsabile dell’attività inventiva.

Nelle proprie decisioni, emesse tra il 2019 e il 2020, l’European Patent Office, lo US Patent and Trademark Office and lo UK Intellectual Property Office hanno respinto le domande, affermando categoricamente che le rispettive leggi in materia di brevetti non consentono a una macchina di essere individuata come inventore in una domanda di brevetto, potendo tale ruolo essere rivestito esclusivamente da persone “fisiche”.

Ad oggi, la High Court del Regno Unito ha confermato la decisione dello UK Intellectual Property Office, dando il via ad un un processo di revisione del Manual of Patent Practice dell’IPO, ora aggiornato al fine di chiarire che solo le persone fisiche possono essere identificate come autori di invenzioni brevettate. Anche le decisioni dell’EPO e dell’USPTO sono state impugnate, con esiti attesi per l’inizio del prossimo anno.

La questione, dunque, non è chiusa. Si può tuttavia dire che il caso DABUS ha formalmente gettato le basi per un dibattito atteso da tempo, poiché ha posto una domanda che non poteva essere più ignorata: la normativa e le procedure in materia brevettuale, in Europa come nel resto del mondo, sono pronte ad adattarsi ad una realtà in cui gli esseri umani non sono più gli unici promotori del progresso scientifico?

 

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